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Il nuovo Codice della Strada cavalca l’onda repressiva

Con l’approvazione del nuovo Codice della strada, si è aperto un acceso dibattito sulle implicazioni di una norma che, nel maldestro tentativo di reprimere la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, penalizza anche chi non rappresenta nessun pericolo per la sicurezza stradale.

Facciamo subito una premessa: non si deve guidare dopo aver usato sostanze che compromettono il proprio stato psicofisico. Vale per l’alcol come per qualsiasi sostanza psicotropa, legale o illegale che sia. Ma questa norma va ben oltre.

Una normativa repressiva e ideologica

La riforma introduce una modifica radicale all’articolo 187 del Codice della strada: il concetto di “alterazione psicofisica” viene eliminato. È sufficiente risultare positivi al test salivare per essere sanzionati con multe che vanno da 1.500 a 6.000 euro, l’arresto da sei mesi a un anno e la sospensione della patente da uno a due anni.

Non si tiene più conto dello stato reale della persona al momento della guida, né si distingue tra chi ha assunto una sostanza giorni prima e chi è effettivamente alterato, come peraltro avviene per l’alcol: a nessuno verrebbe in mente di indagare se qualche giorno prima rispetto al momento della contestazione, una persona ha bevuto una bottiglia di vino!

Questa norma, definita da molti come “manifesto ideologico”, appare eccessivamente repressiva. I test salivari possono rilevare tracce di sostanze come il THC fino a 14 ore dopo l’assunzione, mentre oppiacei e anfetamine sono rilevabili fino a 72 ore. Per quanto riguarda i metaboliti della cannabis, gli esami tossicologici su sangue e urine possono darne evidenza fino a un mese dopo.

Di fatto, anche un utilizzo terapeutico o occasionale, in assenza di qualsiasi alterazione, diventa motivo sufficiente per subire pesanti conseguenze legali.

L’impatto sui pazienti che usano Cannabis Terapeutica

Una delle categorie colpite da questa norma è quella dei malati che fanno uso di cannabis terapeutica, i quali vedono compromessa la possibilità di guidare legalmente nonostante seguano terapie prescritte e monitorate.

La presidente del Comitato pazienti cannabis medica, Santa Sarta, denuncia in un intervista a Fanpage.it come questa riforma renda impossibile per i pazienti guidare legalmente. La cannabis terapeutica è regolamentata in Italia dal 2007 e viene utilizzata per patologie come sclerosi multipla, dolori cronici, sindrome di Tourette e altre condizioni invalidanti. Gli effetti psicotropi sono controllati attraverso dosaggi personalizzati, e i pazienti non sperimentano alterazioni alla guida.

Con le nuove regole, però, questi malati saranno costantemente incompatibili con la guida. “Faranno solo il test salivare, che può rilevare che hai assunto cannabis giorni prima. Per noi diventa impossibile guidare”, spiega Sarta. La difficoltà è aggravata dalla necessità di spostarsi per visite mediche e ritiro di farmaci, specialmente in regioni dove le strutture sono distanti. In Sicilia, ad esempio, i pazienti devono percorrere chilometri per accedere alle cure.

Puoi leggere QUI l’articolo completo.

Dati e contraddizioni

Negli ultimi anni l’ambiente scientifico si è interessato alla pericolosità dell’uso di cannabis alla guida. Sono sempre di più gli stati che hanno legalizzato l’uso della cannabis e il tema è di grande rilievo. Attualmente però i dati confermano l’inconsistenza del collegamento tra incidenti e uso di sostanze.

Secondo l’Istat, solo il 3,2% degli incidenti stradali con lesioni nel 2023 è stato correlato a una violazione dell’articolo 187, in calo rispetto al 2019. Inoltre, la scienza evidenzia come non vi sia una relazione diretta tra la quantità di THC nel sangue e le capacità alla guida. Alcuni studi indicano che il rischio di incidente per chi usa cannabis è paragonabile a quello di chi parla al vivavoce, e che gli utilizzatori tendono a guidare a velocità più basse. Nonostante ciò, la normativa colpisce indiscriminatamente chiunque risulti positivo, a prescindere.

NB: rimane valido comunque quanto già espresso sopra rispetto al non guidare dopo aver assunto cannabis.

Un sistema punitivo e stigmatizzante

Questa riforma non solo mina il diritto alla mobilità, ma introduce un sistema punitivo sproporzionato e irragionevole. Un test positivo comporta sanzioni penali, un lungo iter per riottenere la patente e una stigmatizzazione che può portare alla perdita del lavoro. A questo si aggiunge la discrezionalità delle forze dell’ordine, che potrebbero scegliere chi fermare sulla base di pregiudizi, alimentando discriminazioni.

Di fatto le nuove sanzioni previste dal Governo per chi risulta positivo al test della droga, seppur nel pieno delle proprie capacità – ossia in assenza di stato di alterazione psico-fisica – sono illegittime in quanto puniscono una condotta pericolosa, ma non hanno nulla a che vedere con la sicurezza stradale.

Alcuni emendamenti proposti in Parlamento durante l’esame della nuova legge sono stati trasformati in “raccomandazioni” nei confronti del Governo ad apportare una serie di correttivi in sede di emanazione dei decreti legislativi di attuazione. Tra questi è prevista la «non punibilità» dei casi in cui un conducente utilizzi la cannabis per prescrizione medica. Il che potrebbe quantomeno salvare tutti coloro che fanno uso di farmaci a base di cannabinoidi a fini terapeutici.

Per approfondire la questione da un punto di vista legale, suggeriamo la lettura di questo articolo:

Sarà dichiarato incostituzionale il nuovo Codice della strada?

Cosa succederà?

Il nuovo Codice della strada è più orientato a cavalcare un’onda repressiva che a risolvere problemi reali. La soppressione del requisito di dimostrare l’effettiva alterazione psicofisica non solo penalizza ingiustamente milioni di cittadini, ma colpisce in modo sproporzionato i pazienti che usano cannabis terapeutica, violando di fatto il loro diritto alla mobilità e a una vita dignitosa.

Questa norma, inoltre, solleva seri dubbi di costituzionalità. Trattare allo stesso modo chi utilizza cannabis per uso medico e chi guida in stato di alterazione rappresenta una chiara discriminazione, violando il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Questa legge non distingue tra comportamenti pericolosi e terapie legalmente prescritte, mettendo a rischio diritti fondamentali come la libertà di movimento e l’accesso al lavoro.

È prevedibile che questa norma venga contestata nelle sedi giudiziarie, aprendo la strada a ricorsi che potrebbero portare la questione fino alla Corte Costituzionale. Nel frattempo, però, migliaia di cittadini potrebbero subire danni irreparabili. Servirebbe un intervento legislativo urgente per correggere una norma che, così com’è, appare punitiva, inefficace e contraria ai principi di giustizia e proporzionalità.

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